La ricetta per essere sempre contenti
Uno di quei giorni in cui la vita
sembra non avere senso, in cui è più facile restare con la maschera della finta
tristezza come per dire al mondo che hai bisogno di qualcosa ma nemmeno tu sai
esattamente cosa. Uno di quei giorni in cui la routine pesa più del solito, in
cui chi non sei risulta più evidente di chi sei, ciò che non hai realizzato ti
brucia dentro e ti consuma e i traguardi raggiunti si eclissano dalla memoria,
improvvisamente sei una nullità immersa nel nulla e destinata al nulla. Il
tempo scorre lento e la forza di volontà se ne va, tutto infastidisce, vorresti
solo risvegliarti in un altro giorno, in un altro tempo, con la speranza che la
coltre di negatività con cui hai aperto gli occhi possa scomparire da sé,
magicamente.
Ecco, era uno di quei giorni. E
io c’ero dentro fino al collo.
Arriva la fatidica ora di andare
al lavoro e l’adulto in me, anche se a fatica, vince il duello con il mio
bambino ribelle che, al centro del palcoscenico dei miei pensieri, se ne stava
indispettito, dritto sulle punte dei piedi con gli occhi chiusi, le braccia
lungo i fianchi e i pugnii serrati, urlando: “MA UFFA! IO NON CI VOGLIO
ANDAREEEEE!!!!”.
Alla fine si va.
Tra i banchi di scuola porto
sempre me stessa, con le mie gioie, tristezze e paure. É inevitabile. Ma allo
stesso tempo, varcando la soglia della classe, mi avventuro ogni giorno in
un’altra dimensione, in un altro mondo in cui la protagonista indiscussa è
l’attenzione reciproca. Attenzione degli alunni verso l’insegnante, attenzione
dell’insegnante verso gli alunni, attenzione tra compagni di classe, attenzione
alle parole, agli sguardi, alle immagini, alla musica, ai suoni, ai grandi
eventi, ai luoghi, ai numeri, al sapere, attenzione alla bellezza. Tutto è
attenzione a scuola. E relazione.
Quel giorno ho approfittato di
entrambe queste essenze della scuola. Avevo sete di una parola sorprendente, di
un lampo di colore in quello sfondo grigio. Così ho deciso di rivolgermi ad un
professionista, un bambino di appena 7 anni, e gli ho chiesto: “Secondo te qual
è la ricetta per essere sempre contenti?”. Lui mi ha guardato, stupito dalla
curiosa domanda che probabilmente nessuno gli aveva mai posto fino a quel
momento. Da quel suo sguardo profondo che risaltava al di sopra della
mascherina, ho capito subito che con quella strana richiesta avevo appena
avviato una conversazione in cui l’adulto sarebbe stato lui, protettivo e
amorevole, mentre io mi ero appena trasformata in una bambina spaurita,
desiderosa di una coccola di conferma, di una mano a cui aggrapparsi.
Aveva detto tutto. Non ho potuto
trattenere la commozione e mi sono messa a piangere, erano bastate quelle poche, semplici e chiare parole per restituirmi IL senso. Quel bimbo-adulto mi aveva
appena ricondotto a casa, guidato con dolcezza a ciò che avevo vissuto e
conosciuto ma che avevo smarrito e dimenticato. Attimi di puro infinito.
Una volta ripresa dalla grande
rivelazione, con il cuore ancora in fibrillazione e il rigenerato sorriso, mi
sono diretta verso un altro bambino con l’intento di sapere anche il suo
parere. Ne volevo ancora di quella sapienza umile, semplice, piccola ma così
vera.
“Ma secondo te qual è la ricetta
per essere sempre contenti?”
“Mmmh.... un prosecco!”.
Questa volta è davvero TUTTO.
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