Siamo qui per un contatto
Uno dei
sogni notturni più ricorrenti mi vede protagonista di una scena particolarmente
drammatica: io che afferro la mano di qualcuno che si trova sospeso al bordo di
un precipizio e poi, non so come, riesco a sollevarlo e a riportarlo sulla
terra ferma.
Devo dire che mi fa sempre sorridere il pensiero, forse ho visto
un po’ troppi film di avventura😅... Ovviamente nel tempo ho anche cercato di auto-fornirmi un’interpretazione
plausibile di tale esperienza onirica e sono arrivata alla conclusione che una
parte di me desidera “salvare”, compiere un’azione eroica, togliere qualcuno
dalla paura del baratro per sempre. Ma non solo. Nel sogno infatti io non salvo
quella persona dicendole belle e giuste parole o chiamando qualcun’altro in
aiuto ma facendomi coraggio e prendendolo saldamente per mano: la salvo per contatto.
Per la scena completa clicca qui |
All’inizio
di un famoso film uscito nel 2016 ed intitolato “Collateral Beauty”, il
protagonista, interpretato da Will Smith, dopo aver provocato i suoi
ascoltatori chiedendo loro quale sia il perché della loro vita, afferma: «Siamo
qui per un contatto». Trovo geniale l’intuizione del regista di sottolineare l’importanza
di questa particolare disposizione di mente e corpo a cui tutti noi, a suo
parere, aspireremmo.
C’è una
storia a proposito di un contatto salvifico che mi piace tantissimo: è la
vicenda di una donna in un tempo e in un luogo molto lontani dai nostri. Il
fatto che non venga nominato il suo nome è solo il primo indizio che fa capire
che in realtà questo personaggio potrebbe essere potenzialmente incarnato da
ciascuno di noi. Il suo problema è che da 12 anni ha perdite di sangue e che,
dopo essersi rivolta a molti medici, nessuno di loro ha ancora trovato una cura
a questo male e, cosa ben più grave, nessuno la vuole toccare perché il sangue
è considerato impuro nella sua cultura. È una donna sola, ai margini.
Poi,
l’incontro. Arriva un uomo, un uomo che si distingue da tutti gli altri
conosciuti prima per il fatto che si lascia avvicinare dalle persone. Una folla
di gente lo accerchia, tutti dicono grandi cose di lui, dicono che può salvare!
E allora la donna va, non le importa della sua reputazione, ormai non ha più
nulla da perdere, vuole solo… un contatto. Si butta nella mischia. Me la
immagino mentre si infila tra i pertugi dei corpi sudati e affannati di quella
povera gente in cerca come lei di salvezza, e che, mentre pensa di essere un
poco pazza ed incosciente, arriva a sfiorare un lembo di quel mantello che
appartiene a lui, a quell’uomo ritenuto bello e buono dalla gente (in greco καλός
και αγαθός). A partire da questo tocco tutto si ferma, la linfa vitale riprende
a scorrere nelle sue vene, da questo istante niente e nessuno potrà più prosciugarle
la vita, tutto ha di nuovo senso, tutto può ricominciare, tutto rinasce e
rifiorisce grazie ad un contatto e alla fiducia in quel contatto.
Toccare
l’altro è un movimento di compassione;
toccare
l’altro è desiderare con lui;
toccare
l’altro è parlargli silenziosamente con il proprio corpo, con la propria mano;
toccare
l’altro è dirgli: “Io sono qui per te”;
toccare
l’altro è dirgli: “Ti voglio bene”;
toccare
l’altro è comunicargli ciò che io sono e accettare ciò che lui è;
toccare
l’altro è un atto di riverenza, di riconoscimento, di venerazione.
(Enzo Bianchi)
Stupendo, profondo, fa riflettere più del dovuto...
RispondiElimina