Ciò che ci rende umani
È con grandissima gioia che pubblico e condivido il primo articolo del blog scritto a quattro mani!!! L'idea è venuta a Martina ormai molto tempo fa e ora eccoci qua a esprimere uno dei tanti frutti del "dai, facciamolo insieme!". Grazie.
Quando
studiavo filosofia l’ambito che più amavo era l’antropologia, ossia lo studio
dell’essere umano e le varie teorie che cercano di trovare dei criteri per
definirlo. Mi piaceva confrontare i vari punti di vista e capire le motivazioni
di tali prospettive: chi considera l’uomo come essere che differisce dagli
animali per il suo intelletto, chi lo distingue per la capacità di comunicare
attraverso un linguaggio strutturato, chi lo identifica come un essere
predisposto per natura a compiere il bene, chi pensa l’esatto opposto.
In particolare, mi aveva
colpito una tesi secondo cui noi uomini siamo esseri ordinari, imprigionati
nella nostra quotidianità, spaventati dalle novità, timorosi di oltrepassare la
“comfort zone”. In qualità di persona estremamente ottimista, questa visione mi
aveva lasciata parecchio interdetta; tuttavia, iniziai a pensare a esempi tratti
dalla vita quotidiana che avrebbero potuto sostenere tale teoria e
ammetto che non avevo faticato a trovarne molti. Si pensi ai “no” detti per
mancanza di certezze, si pensi ai “lo faccio domani” per non sconvolgere i
piani della giornata, a tutte le volte in cui ci sentiamo destabilizzati perché
la realtà non corrisponde ai nostri schemi mentali. Delusa dal risultato
ottenuto, avevo iniziato a cercare dimostrazioni che potessero confutare questa prospettiva: tutte le volte in cui
una nostra passione, che sia uno sport, la fotografia o la lettura, prende
spazio nelle nostre giornate senza averlo necessariamente programmato, tutti i
“sì” impulsivi che le persone care attorno a noi ci conducono a dire, le pazzie
con i nostri amici.
Dopo aver trovato una serie
di esempi avevo notato con piacere che c’era un filo conduttore che li univa
tutti, un denominatore comune che ci permette di dare una definizione a questa
forza che ci fa uscire dall’ordinario: l’incontro.
Che sia l’incontro con una persona a cui vogliamo bene, con uno sport che ci emoziona,
con un libro o con uno strumento musicale, l’incontro con qualcosa di altro,
qualcosa al di fuori di noi è proprio ciò che ci libera dalle catene dell’ordinario. Esistere è
uscire da sé e l’etimologia del verbo, che deriva dal latino ex-sisto che si può tradurre con “stare
fuori”, in cui il prefisso ex
descrive una tensione verso l’esterno, lo conferma: siamo vivi nel momento in
cui ci apriamo a qualcosa che è altro, la linfa vitale della nostra vita sta nell’incontro
con qualcosa fuori di noi.
Proviamo per un momento a
chiudere gli occhi e a cercare a rievocare le sensazioni che viviamo proprio in
occasione di questi incontri, sensazioni che ci fanno sentire vivi, batterie
per il nostro cuore, come
scrive Alessandro d’Avenia:
«trovando l’infinito fuori, si scopre di averlo dentro»
(L’arte
di essere fragili)
Penso che qualche volta sia
importante fermarsi qualche istante e riconoscere tutto ciò che nella nostra
vita ci fa sentire vivi e ringraziare quelle persone il cui incontro ci apre un
infinito, ci fa sentire infinito.
Lavare i piatti. Da circa un annetto è diventato questo uno dei
momenti migliori per i miei incontri, per trasformare l’ordinario in
stra-ordinario. In effetti nell’immaginario collettivo questa pratica domestica
è di certo individuale e non adatta a generare relazione. Ma è bastato un primo
“Tu lavi ed io asciugo?” per ribaltare completamente le aspettative e rendere
quella mezz’ora dopo il pasto un tempo ricco di dialogo, ascolto, condivisione,
conoscenza e risate.
Non credo che il contrario dell’incontro sia lo scontro, penso
piuttosto che consista nella chiusura, nella presunzione di pensare di poter
bastare a se stessi, nell’indisponibilità ad aprirsi al dialogo e a conoscere
chi ci sta attorno, nella fierezza che non accetta intromissioni e variazioni,
nell’indifferenza che non fa avvicinare ma guardare con sospetto.
Sono convinta che l’azione dell’incontrare abbia un qualcosa di
peculiare rispetto alle altre. In effetti per far sì che essa si realizzi è
necessario muovere un piccolo ma determinante passo, dire un sì senza avere
alcun tipo di certezza sulle conseguenze, superare una soglia oltre la quale
non si sa cosa potrà succedere, lasciarsi appassionare, seguire un’intuizione
il più delle volte semplice che non fornisce alcuna garanzia di successo. In
altre parole, accettare l’incontro significa avere un grande fiducia in sé,
negli altri e nella vita. Una volta espresso questo “eccomi” iniziale e,
superata la paura del non conosciuto, il timore per la maggior parte delle
volte lascia il posto allo stupore, all’entusiasmo e alla gioia e risulta
incredibile l’aver dubitato o atteso così a lungo prima di decidersi.
Ex-sistere allora, in quanto apertura alla vita, è ciò che siamo
chiamati a fare ogni giorno nei confronti del mondo e degli altri: trasformare
l’ordinario in straordinario, accogliere e non allontanare, donare e non essere
avidi, perdonare e non provare rancore, sorridere spesso a chi ci sta accanto,
abbracciare, fare complimenti, valorizzare i talenti altrui, fare battute
divertenti, organizzare ed architettare piccoli “momenti di trascurabile
felicità” per qualcuno, fare cose un po’ pazze di tanto in tanto ma soprattutto…
…non lavare mai i piatti da soli! Guarda cosa
ti perdi…
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