Vieni dai! Facciamolo assieme!
Da poco ho terminato il servizio a Estate Ragazzi, un centro
estivo parrocchiale della durata di 3 settimane in cui una cinquantina di
animatori ha avuto a mano circa 150 bambini dai 6 ai 13 anni. Essere coordinatore
di un’attività di tali proporzioni non è facile perché sottopone la mente ad un
continuo brulicare di pensieri, paure e ansie tali da toglierti anche il sonno.
è noto che a mano a mano che un
animatore acquisisce esperienza, la sua presenza diventa determinante ed il suo
“potere” in un certo senso aumenta e diventa fondamentale il modo in cui
gestisce questa diversità di ruoli. Uno degli errori che il coordinatore può
fare è quello di limitarsi a comandare gli altri abusando di fatto del proprio “potere”.
Altra cosa è invece quando è in grado di dire: “Vieni con me a riempire le
caraffe d'acqua per la merenda?”, quando cioè riesce non solo a spartire gli incarichi
per far sì che tutto venga realizzato, ma anche a educare e far crescere
qualcuno affinché un giorno possa esser capace di eguagliarlo e fare meglio.
Forse non ci è ben chiaro ma la crescita implica necessariamente
una relazione, un incontro/scontro con una diversità, un altro fuori di noi.
Non so esattamente perché questa dinamica stia diventando un peso per tutti
quanti, io un’idea me la sono fatta. Il problema è che aprire se stessi ad un’alterità
richiede due cose: la disponibilità a mettersi in gioco nei sentimenti e nell’intimità
e soprattutto la capacità di lasciare da parte la nostra costante mania di
onnipotenza, cioè la volontà inconsapevole di essere gli unici a saper fare una
certa cosa, la presunzione di aver afferrato conoscenze e abilità che solo noi
saremo in grado di custodire e manifestare. Insomma, ciò che ci disturba in fin
dei conti è la condivisione. E il suo contrario, l’avidità, è forse il male più
dilagante del nostro tempo. Questa illusione che accumulare per sé sia il vero
valore non fa che mettere le persone le une contro le altre, generare continui
sospetti e mormorii, costruire barriere ideologiche senza fondamento e
soprattutto alimentare quel pregiudizio che riduce gli uomini a oggetti da
scartare se non hanno certi arbitrari requisiti.
Come non accorgersi dell’odierno accanimento contro qualunque
forma di comunità umana? A partire dalle famiglie per arrivare alle comunità
civili sempre più frammentate e divise in se stesse. E pensare che nelle
civiltà antiche da cui abbiamo avuto origine i valori fondanti erano proprio l’ospitalità
e l’attaccamento alla res publica, la
“cosa pubblica”. In latino solo un paio di lettere distinguono il termine hospes (ospite) dal termine hostis (nemico), e così come ci si può
confondere sulla carta mi pare che la stessa operazione si stia verificando anche
a livello inconscio nelle menti delle persone. Ecco allora che ritorna quella
domanda iniziale: come gestire un presunto potere? Che mossa fare quando si è i
primi a poter muovere le pedine sulla scacchiera?
Davvero la risposta alla fragilità può essere solo la
chiusura? Davvero siamo diventati così violenti?
Un uomo chiamato Ernesto Olivero sostiene che la capacità di accogliere
l’imprevisto sia la vera chiave di tutto e che questa si acquisisca esercitandosi
a vedere l’altro come occasione e non come scocciatura adottando le giuste
regole. Auguro a me e a tutti voi, lettori, di sentire ogni giorno che è molto più
bello e umano realizzare qualcosa di grande insieme accettando la spartizione
se non l’allontanamento dal tanto agognato merito piuttosto che ostinarsi a
rinchiudersi tra le proprie cose nell’avida coltre delle proprie presunte
capacità. Spero che potremo sempre più fare nostra una semplice proposta come: “Vieni
dai! Facciamolo assieme!” affinché possa piano piano diventare motto di un vero
e proprio stile di vita con il quale affrontare la quotidianità e le sfide del nostro tempo.
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